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Insieme ai più fragili per una società migliore

Intervenendo al convegno «Una comunità a misura di... ogni persona» dello scorso marzo, l’arcivescovo Mario Delpini ha annunciato la costituzione di una Consulta diocesana dedicata alla disabilità e all’inclusione. Punto di riferimento della nuova struttura è don Mauro Santoro, che in questa intervista spiega l’importanza di una rete di sinergie per superare quella «cultura dello scarto» denunciata anche da papa Francesco.



Don Mauro con Viviana

Una coincidenza, o meglio, una «Dioincidenza». È così che don Mauro Santoro spiega il suo incontro con il mondo della disabilità. Un mondo che per lui ha dei contorni chiari e definiti, quelli del volto di Giulia e dei tanti ragazzi fragili come lei, con cui ha camminato durante gli anni di prete di oratorio a Carugate.

Un incontro con una realtà che gli ha cambiato e salvato la vita, ponendolo di fronte ai suoi limiti e a ciò che conta davvero. Per questo don Mauro ha deciso e ha chiesto all’Arcivescovo di poter continuare a spendersi per il mondo della disabilità, non da solo, ma insieme a tutta la comunità cristiana che ha a cuore gli ultimi, i più fragili e indifesi, i prediletti da Dio.

Come nasce l’idea di una Consulta diocesana dedicata alla disabilità e all’inclusione?

È la naturale evoluzione di un tavolo di lavoro, senza un riconoscimento ufficiale, nato all’interno del Servizio per la catechesi. Io da dodici anni abito il mondo della disabilità, un mondo conosciuto per caso durante la mia prima destinazione pastorale e che non ho mai più voluto abbandonare.

Quel tavolo di lavoro è nato con delle caratteristiche importanti, innanzitutto non ponendo l’attenzione solo sull’ambito della catechesi, ma chiedendo all’intera comunità di accogliere le persone con disabilità. Questo perché una comunità è fatta di tante cose: sport, tempo libero, oratorio feriale… e l’attenzione ai più fragili spesso è affidata ai soli catechisti “di buona volontà”. Ma questo non basta, senza perdere lo sguardo sull’annuncio evangelico, ci sono tante persone sensibili al mondo della disabilità, che vanno coinvolte e non lasciate sole.

L’obiettivo di quel tavolo era lavorare con gli uffici di pastorale ordinaria, come il Servizio per la catechesi, la Fom, la Caritas ambrosiana, il Centro sportivo italiano, con le realtà del terzo settore e con i genitori con figli disabili, affinché le nostre comunità diventino sempre più inclusive.

Dopo cinque anni, alla luce di ciò che è capitato durante la pandemia, quando le persone con disabilità e con fragilità hanno pagato il prezzo più alto, abbiamo chiesto che questo tavolo di lavoro avesse un riconoscimento ufficiale da parte della Diocesi e così è nata la Consulta, una nuova struttura che risponderà a don Mario Antonelli, vicario per l’Educazione e la celebrazione della fede.

Da chi è composta la Consulta?

Dalle stesse persone del tavolo di lavoro, con degli inserimenti importanti: un rappresentante della Pastorale scolastica, una pedagogista, una psicologa e un medico che lavorano con le persone con disabilità, una nuova coppia di genitori con una figlia con disabilità e tre persone con disabilità, perché è bello dare voce a loro e non solo parlare di loro. Ora aspettiamo il mandato ufficiale con la firma dell’Arcivescovo.

Perché una Consulta e non un ufficio diocesano?

Perché il nostro obiettivo non è creare attività pastorali in più, ma come continuare a lavorare con gli uffici esistenti di Pastorale giovanile, Famiglia, Caritas, Catechesi… perché possano maturare uno sguardo sempre più di inclusione.

Faccio un esempio: se si organizza una giornata di spiritualità per le famiglie, perché non mettere un servizio di baby-sitting anche per i disabili?

Oppure, quando si preparano i laboratori di formazione base per la catechesi, inseriamo il tema della disabilità, non mettiamolo più come approfondimento a parte, spesso scartato.

La vera sfida della Chiesa oggi è l’inclusione che generi reale comunione.

Ma nella storia della Chiesa ci sono state tante realtà che ancora si occupano di persone con disabilità.

Certo! Don Gnocchi, don Orione, il Cottolengo… Ma oggi bisogna fare uno sforzo in più: bisogna occuparsi degli ultimi non segregandoli, ma facendoli diventare parte attiva della comunità. Da destinatari di cura devono diventare soggetti protagonisti, anzitutto come testimoni del Vangelo.

La Lettera di san Paolo ai Corinzi, nella quale si paragona il corpo della Chiesa a quello umano, dove ci sono membra diverse e le più fragili sono quelle che hanno bisogno di maggior cura, credo rappresenti bene l’icona della sfida di adesso.

Poi c’è un’altra sfida: non aver paura di conoscere la disabilità, il che non significa acquisire strumenti e mezzi, quello è importante, ma viene dopo! Prima ci deve essere il desiderio di conoscere una persona fragile e capire che può rivelare qualcosa di importante anche per la tua vita. Così è successo a me: persone con disabilità mi hanno fatto conoscere di più il volto di Dio e di questo sono infinitamente grato.

Anche le persone disabili possono svolgere un servizio all’interno della Chiesa?

Certamente! E per quanto piccolo e semplice, hanno una fedeltà al servizio incredibile. Posso raccontare di Simone, un ragazzino con sindrome di Down, che durante il Natale scorso è diventato chierichetto o di un ragazzo autistico che ha chiesto di fare l’animatore in oratorio ed è bravissimo. C’è poi un ragazzo con disabilità che è orgoglioso di fare il dirigente della squadra dell’oratorio, un altro che è aiuto catechista. Ci sono persone adulte con ri-tardo cognitivo che danno una mano nella cucina dell’oratorio o come baristi.

Non avete idea di quanto la presenza di tutti loro arricchisca una comunità e la renda davvero secondo il Vangelo. Il pericolo è che una comunità sia fatta di servizi e non di relazioni.

Da qui dobbiamo ripartire dopo la pandemia, dai più fragili, da coloro che hanno pagato di più.


Ylenia Spinelli


Originariamente pubblicato su «La Fiaccola», anno XCV, numero 5 (maggio 2021), pp. 14-15.

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