Possiamo dare all'Evangelo di questa domenica un titolo modificando un modo di dire corrente: dimmi come preghi e ti dirò chi sei. Ho trovato conferma nella lettura di un prezioso libriccino che raccoglie preghiere composte dai detenuti nel Carcere di Opera. Uomini segnati da gravi colpe e che nella preghiera esprimono la coscienza del male compiuto e la speranza di un futuro degno dell'uomo. Ecco un esempio:
"Ai tuoi piedi ho deposto la mia vita di peccatore…Sotto il tuo sguardo la mia vita buttata ha ripreso colore…".
In altri termini: la presenza o l'assenza della preghiera e un certo modo di pregare svelano la nostra più profonda identità. L'assenza di preghiera nella vita di una persona, manifesta un progetto di vita centrato su di sé, chiuso nella propria autosufficienza. E invece, aprire e chiudere la giornata con un momento anche breve di preghiera, un lampo di ringraziamento e di domanda, segnare il trascorrere del tempo non solo con le molteplici occupazioni e con criteri di produttività e efficienza ma con i gesti e le parole della preghiera vuol dire riconsegnare a Dio il tempo riconosciuto e accolto come dono suo, affidato alla nostra libertà. E poi ci sono modi diversi di pregare che rimandano a stili diversi di vivere anzi a tipi umani diversi. La parabola di questa domenica, rivolta a quanti presumendo d'essere giusti disprezzano gli altri, mette in scena due uomini che nel Tempio compiono la loro preghiera: due uomini profondamente diversi, due modi di vivere radicalmente opposti. E lo scopriamo attraverso il loro modo di pregare. Anzitutto il Fariseo. Già il termine 'fariseo-separato' sta a dire una pretesa di diversità, estraneità, superiorità rispetto alla massa che non segue scrupolosamente la Legge di Mosè in tutti i suoi più piccoli precetti. Il fariseo è il prototipo dell'uomo religioso che elenca i peccati che non commette e le opere buone che compie. Digiuna addirittura due volte la settimana e non si accontenta di un solo digiuno come prescriveva la Legge. Paga la decima su grano, olio e vino facendo ciò che era prescritto per il produttore ma non per il consumatore. Il fariseo esibisce le sue opere buone vantando un credito nei confronti di Dio e ricavando dalle sue opere buone il diritto di disprezzare gli altri: Ti ringrazio che non sono come gli altri uomini. Al tempo di Gesù i farisei costituivano una setta forte di circa seimila persone. Era fariseo e figlio di farisei lo stesso Paolo (At 26,5) e anche anche Nicodemo e Gamaliele due estimatori di Gesù lo erano. Eppure durissimo è il conflitto tra Gesù e i farisei. Per loro è la minaccia: "Guai a voi farisei ipocriti…sepolcri imbiancati esteriormente belli ma dentro pieni di marciume…". Gesù condanna la loro esteriore osservanza della Legge trascurando l'adesione della coscienza, la conversione del cuore. E poi il pubblicano: per il lavoro che svolgevano--raccogliere le tasse a favore dei Romani, forza di occupazione del Paese--erano guardati con disprezzo. Lavoravano infatti per il nemico e ne approfittavano per commettere sopraffazioni, estorsioni, ingiustizie. La preghiera del pubblicano, compiuta stando a distanza e accompagnata da gesti di umiltà, esprime la consapevolezza della propria condizione di peccatore. Questa preghiera non è esibizione della propria giustizia come quella del fariseo, ma umile affidamento alla misericordia di Dio: abbi pietà di me che sono peccatore. A questo punto interviene Gesù con una parola solenne, una formula che troviamo ripetutamente nel discorso della Montagna, tutte le volte che Gesù vuole far rimarcare la novità del suo messaggio: “Vi è stato detto…ma io vi dico”. La formula introduce il rovesciamento paradossale: il fariseo, considerato l'uomo giusto, sicuro delle sue buone opere è respinto nonostante la sua meticolosa religiosità. Il pubblicano, invece, considerato peccatore degno solo di disprezzo, consapevole della propria indegnità viene riconosciuto giusto, perdonato, salvato. Si realizza così quella parola di Gesù: Sono venuto non a chiamare i giusti ma i peccatori (Lc 5,32). Uno dei titoli che i contemporanei danno a Gesù è 'Amico dei pubblicani e dei peccatori' (Lc 7,34), con loro sta volentieri a tavola (Lc 5,27). La prima comunità cristiana è stata travagliata da un interrogativo: l'uomo è giustificato, cioè reso giusto e quindi salvato dal meticoloso adempimento degli obblighi della legge mosaica oppure è salvato dall'amore gratuito di Dio?.
Non illudiamoci come il fariseo, di poter conquistare Dio con le nostre opere: non possiamo fare un passo verso di Lui se Lui, per primo non ci viene incontro.
Davvero, tutto è grazia.
Giuseppe Grampa
Ultima domenica dopo l'Epifania
Is 54, 5-10
Rm 14, 9-13
Lc 18, 9-14
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