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E prepararono la Pasqua...

Riportiamo la parte conclusiva della riflessione che don Camillo ha offerto al gruppo della terza età sul Triduo Pasquale.



La Chiesa invita ciascuno di noi ad entrare nella celebrazione del Triduo Pasquale ambrosiano. Anzitutto, i fedeli che prendono parte alla celebrazione, non solo e non tanto perché possano individualmente seguire lo svolgimento dei riti come se fossero dei semplici spettatori, quanto piuttosto perché i singoli e i gruppi – al di fuori della celebrazione – possano essere “iniziati”, familiarizzino previamente con i contenuti e, a celebrazione avvenuta, abbiano modo di approfondire sempre più i misteri celebrati, traendone alimento per la fede e la vita.


In realtà, la Pasqua è la memoria attualizzata del passaggio di Israele attraverso il Mar Rosso in fuga gioiosa verso la libertà ed è – nella pienezza dei tempi – il memoriale della Pasqua di Cristo che attraversa a piedi asciutti il mare della morte per essere innalzato alla gloria del Padre.


Si può e si deve dire che ogni passaggio è una passione, ogni passare è un partire. È stato così per Israele, è stato così per il Signore Gesù ed è così per ciascuno di noi in cui questo mistero di passaggio e di sofferenza, riempito di Amore, continua ad attuarsi.


Celebrare il Triduo Pasquale con quella solennità che le è propria, che comporta impegno e una certa fatica, è occasione per fare il punto sulla propria penetrazione del Mistero di Cristo in tutta la sua ricchezza e profondità. Le celebrazioni del triduo, infatti, ci rammentano le leggi fondamentali della vita naturale e soprannaturale: “passare” continuamente, accettando per amore di partire la trasformazione di ogni nostra notte in aurora, di donare la nostra vita come un pane nel servizio e nel sacrificio d’amore.


Il Giovedì Santo, quando celebriamo la cena del Signore è fare “memoriale” del suo affidabile amore che trasforma la nostra inaffidabilità in pane. “Amen” significa è vero!, è solido!, è affidabile!


Carissimi, il Venerdì Santo, non distogliamo lo sguardo dal fallimento totale del Signore nostro crocifisso. Ascoltiamo la sua “sete”: ha sete di quell’amore che portiamo inconsapevolmente in noi come in un pozzo otturato dalla dimenticanza: lasciamo che la vita scorra, si sprechi!


Nel Sabato Santo, a ciascuno è chiesto di sostare davanti al sepolcro del Signore, di non avere paura del Nulla che talora sembra riprendersi tutto quello che abbiamo desiderato e costruito. Eppure quale gioia dare una nuova possibilità alla vita di rifondare ogni cosa dal Nulla.


Alleluia! Questo grido di gioia e di sollievo risuona nella notte ed è un dono per ogni uomo e per ogni donna. La Pasqua è un tempo offerto per la dilatazione degli spazi interiori perché la vita possa sempre ricominciare, sempre e comunque.


Celebrando la Pasqua di Cristo, che è “la vera Pasqua in cui è ucciso il vero Agnello”, facendo memoria nella notte della “grande notte” “in cui Cristo, spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro”, il credente viene immerso in questo medesimo passaggio dalla morte alla vita, un passaggio che si fa a rischio della vita e che non può essere vissuto senza patire.


Se nella morte di Cristo è stato pagato ogni debito alla sofferenza e alla morte quale salario del peccato, nondimeno ciascun credente ha il compito di camminare, di passare, di farsi trasformare dalla grazia. Un cammino, questo, che comincia con la conversione di tutta la vita a sarà compiuto solo nella gloria del cielo.


Celebrare la Pasqua e vivere il tempo pasquale significa per il cristiano ridare vigore al proprio cammino in virtù della speranza e gioia che la risurrezione di Cristo già abita e illumina le ombre della nostra vita.


O Dio che nella liturgia pasquale

ci dai la gioia, pace e speranza

di rivivere ogni anno

la risurrezione del Signore,

fa' che l’esultanza di questi giorni

raggiunga la sua pienezza

nella Pasqua del cielo.

Amen.

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