Tutti li ricordiamo, sono tra i primi versetti del libro della Genesi: “Dio disse: ‘Sia la luce’. E la luce fu…e fu sera e fu mattino: giorno primo”. Penso alla Pasqua: e fu sera e fu mattino, giorno primo. E la luce fu.
Le ombre della sera del venerdì della crocifissione avevano visto le donne controllare – controllo di chi ama, controllo di amore – come Giuseppe e Nicodemo avevano deposto nella grotta il corpo inanimato, crocifisso, avvolto in un lino, del loro maestro e Signore. I vangeli ricordano Maria di Magdala e l’altra Maria che “stanno”, quasi non volessero venir via più, alla tomba. Poi le muove il pensiero del sabato, mancano poche ore. Il vangelo vede le donno andare verso la notte con in cuore il desiderio di preparare aromi e profumi. E fu sera. E fu mattino: giorno primo. Questo trascolorare delle sere nel mattino è stato omesso dalla nostra liturgia che parla di Maria Maddalena già al sepolcro. Ma ecco i versetti che introducono – e io sono certo che voi ne cogliete tutto il senso –: “Il primo giorno della settimana – giorno primo! – Maria di Magdala si recò al sepolcro di mattino, quando ancora era buio e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro”. Per lei fu sera e fu mattino: primo giorno! La sera se ne era andata, la notte se ne era andata.
Immaginate quale sera e quale notte nel cuore della Maddalena, che non resiste a dormire, esce che ancora è buio. Pensate, il racconto della risurrezione vede protagonista una donna ed è tutto scritto in questi passi, i passi dell’amore. Non ci sono scenografie imponenti. Non viene descritto il fatto delle risurrezione, vengono descritti i passi che accadono prima e quelli che accadono dopo. Forse un segno anche per noi che amiamo la spettacolarità degli eventi. Evento senza spettacolo, la risurrezione, dentro relazioni, relazioni di amore. Ed è come se ci fosse nel silenzio il nuovo inizio, una nuova creazione. Come se Dio ancora dicesse: “Sia la luce”. E fu sera e fu mattino: giorno primo.
E forse – lasciatemi dire anche questo – forse è già mattino quando uno ti chiede: ”Perché piangi”. E’ già qualcosa del mattino. Ma non è ancora tutto mattino se ti rimane nel cuore il dolore di una assenza, non è ancora tutto. Anche se fossero due angeli a chiederti perché piangi.
Siamo nel giardino e alla mente ritorna il giardino del Cantico dei cantici dove l’innamorata cerca il suo amato, cerca il dove –dove è? – del suo amato, con parole struggenti. Lo chiede alla guardie nella notte. Ma se a chiederti: “perché piangi?” è il tuo Signore, allora è giorno primo: e fu sera e fu mattino. Sei nell’alba del giardino. E c’è un riconoscersi. Perché, ricordiamolo, ci si riconosce nell’amore. Non ci è difficile immaginare la vibrazione in quella voce: “Maria”! E in quell’altra “Rabbunì, mio Signore”.
Non ci si riconosce alle parole gelide, ai saluti formali, ai discorsi spenti, ci si riconosce alle parole abitate, se poi sono abitate da Dio, come le parole delle scritture sacre è come sentirsi creati: giorno primo. Era buio, intravvedi un pulsare di luce.
Penso, quante sere e quante notti si sono succedute, si succedono e si succederanno, nella storia. Nella storia delle singole persone – quante! – e nella storia dell’umanità – quante! – quasi a dire che la passione, i giorni della passione e della crocifissione, continuano. E non certo per colpa di Dio, o per volontà di Dio, non perché li voglia Dio. Dirlo sarebbe una bestemmia! Non è Dio che vuole il sacrificio di donne e uomini. E’ per volontà di uomini, è per disumanità di uomini che troppe tragedie offuscano il volto dell’umanità.
E fu sera per disumanità di uomini, fu mattino per volontà del Padre che strappò alla morte il Figlio. Che ci amò sino all’estremo di dare la vita per noi. Che si questo il mattino, iI primo giorno “amare rischiando”? Che sia “il rischio dell’amore” la cosa nuova?
A noi – così mi sembra – viene chiesto di far sì che questo accada, il passaggio dalla notte al mattino, che accada il mattino. Che il mattino accada prima di tutto in noi. Poi, là dove sei, fa’ che accada il mattino e scompaia, o se non altro decresca, il buio della notte, il buio della disumanità. E gli occhi possano vedere una cosa nuova. Al cuore ritornano le parole di Paolo nella lettera ai Romani: “Come Cristo fu risuscitato dai morti, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,4). Una sfida: camminiamo in una vita nuova? E’ ciò di cui sentiamo tutti il bisogno. Dopo il buio della notte, dopo il buio della passione, dopo il il buio della terra in cui è sceso il chicco di grano, ecco un presentimento di vita, un gonfiore di di germogli, un pulsare di vita nuova. Lui, Gesù - e aveva negli occhi la sua ora, quella della croce – quel giorno disse: “In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”(Gv 12,24).
Un immagine che mi è parso di ritrovare in alcuni versi di una poesia di Mario Luzi. Che scrive:
Occorre, credo, una liberazione,
una specie di rogo purificatorio
del vaniloquio
cui ci siamo abbandonati
e del quale ci siamo compiaciuti.
Il bulbo della speranza
che ora è occultato sotto il suolo
ingombro di macerie
non muoia,
in attesa di fiorire alla prima primavera.
Perdonate, mi ha sorpreso questo accostamento tra il vaniloquio e il bulbo della speranza. Mi sono chiesto se non possiamo anche noi correre il rischio del vaniloquio, il rischio di fare anche della risurrezione un vaniloquio. Potrebbe diventare un vaniloquio, il nostro vaniloquio, declamare la Pasqua tenendoci il vestito vecchio, senza un benché minimo anelito alla vita nuova.
Lasciamo le frasi fatte, non ce ne sono nei racconti della risurrezione. Dove si respirano – vi dicevo – emozioni di incontri, gesti abitati, volti sorpresi. E questo sbucare del Signore da tutte le parti. Vicino a un’amica che piange e la chiama per nome. Vicino a due che camminano e prende il loro passo. Vicino a chi dubita e conforta la sua fede. Vicino a chi ha paura e dice: “non abbiate paura”. Vicino a chi è stanco e prepara pesce arrostito sulle sabbie estasiate del litorale. Questo significa camminare in una vita nuova, quella vita nuova cui allude Paolo nella seconda lettera ai Corinti quando scrive: “Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” (2 Cor 5,16). Ci conceda il Signore di lasciare alle spalle le cose vecchie, le cose vecchie dell’egoismo. Il bulbo della speranza è in attesa di fiorire.
Angelo Casati
Domenica di Pasqua
1 aprile 2018
Comments