SECONDA EPIFANIA: GESÙ NASCOSTO NELL’UMANO
L’evangelista Marco annota che Gesù arriva al fiume Giordano da Nazareth, dalla Galilea. Questa scarna notizia racchiude gran parte della vita di Gesù, circa trent’anni che vengono indicati appunto come gli anni della vita nascosta. Vita nascosta nella quotidianità di un villaggio, in una piccola famiglia, nel compimento dei doveri propri di un figlio: bambino, ragazzo, giovane uomo. Mi piace immaginare che sulle mani di Gesù apprendista nella bottega del falegname Giuseppe, si siano formati i calli, segno del lavoro. Di quei lunghi anni non sappiamo nulla ad eccezione di un pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme raccontato da Luca quando Gesù ha dodici anni. Ma abbiamo un indizio di quegli anni di vita nascosta grazie alla reazione della gente del villaggio che ascoltando Gesù, ormai adulto, prendere la parola nella Sinagoga a commento delle Scritture, dirà il suo stupore: Ma questo giovane uomo noi lo conosciamo bene, è il figlio del falegname e tutta la sua parentela abita qui con noi. Questa reazione attesta l’assoluta normalità della vita di Gesù a Nazareth, davvero nascosto nella più grigia routine, così come nascosto è il mistero della sua Persona. Sulle rive del Giordano Gesù inaugura quella che siamo soliti chiamare vita pubblica, pochi anni per l’annuncio dell’Evangelo e il dono incondizionato di sé, per noi. Questo gesto del battesimo nelle acque del fiume è decisivo: infatti quando gli Apostoli, dopo la drammatica fine di Giuda, sceglieranno uno che prenda il suo posto porranno una sola condizione: che questo discepolo sia stato con Gesù dal battesimo al Giordano fino alla sua ascensione al Padre (At1,21ss.). Istintivamente noi assimiliamo questo battesimo di Gesù a quanto compiva la folla per mano del Battista: in verità si tratta di due gesti ben diversi. Il cosiddetto battesimo di Gesù non è affatto gesto di purificazione e riconoscimento dei propri peccati come era per la folla che si accalcava sulla riva del fiume. È piuttosto la prima solenne manifestazione di Gesù, la sua epifania dopo quella davanti ai Magi. Ma non vi è nulla di solenne in questa Epifania, al contrario vi è come il nascondersi dentro la folla, quasi lo scomparire di Gesù mescolato a quella umanità, come a ribadire l’appartenenza alla nostra umanità. Il racconto di Marco è di estrema sobrietà ma con tre tratti decisivi. Gesù vede i cieli che si aprono, lo Spirito che su di Lui discende mentre una voce dall’alto lo proclama Figlio amatissimo. Su questo giovane uomo confuso tra la folla e che forse nessuno tranne Giovanni Battista avrà notato, si spalanca il cielo come a dire che proprio in Lui Dio che nessun occhio umano ha mai potuto vedere, si manifesta. L’attesa secolare di Israele che tante volte aveva invocato un cielo spalancato segno della benedizione di Dio, ora si compie proprio su questo uomo confuso con tutti. E lo Spirito promesso a tutto il popolo dono del Messia per gli ultimi tempi, questo Spirito abita Gesù e da Lui sarà donato a tutti. Perché è Lui il Figlio, l’Amato. Anche per ognuno di noi, un giorno, forse uno dei primi giorni di vita, i cieli si sono spalancati, lo Spirito è disceso e una voce ci ha chiamati figli. Vi invito a ricordare i nostri Genitori che hanno voluto per noi il Battesimo all’inizio dei nostri giorni. E in quel giorno, compiuto il gesto battesimale, ci hanno prestato la loro voce per invocare Dio nostro Padre. Oggi lo facciamo con la nostra voce ma, non dimentichiamolo, possiamo farlo anche grazie a loro, ai nostri Genitori.
Giuseppe Grampa
Is 55,4-7;
Ef 2,13-22;
Mc 1,7-11
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