Perché nulla vada perduto
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Commento alle letture di domenica 2 novembre

Ricorrenza ardua ma preziosa quella odierna. La sapienza cristiana antica ammoniva: Ricordati delle ultime cose e sarai perfetto. Ricordati della tua morte, del giudizio che l’accompagnerà, della vita eterna e sarai perfetto. Facciamo questa memoria soprattutto in questi nostri giorni che tentano di rimuovere l’evento del nostro morire. Due semplici indizi: sempre più la morte non avviene in casa, nei luoghi della vita quotidiana ma in spazi sanitari o di degenza cronica, necessari ma sovente tristissimi luoghi anticamera della fine. E della morte non sappiamo parlare, la nascondiamo con pietose bugie a chi è ad essa vicino. Anche la presenza del sacerdote e dei conforti della fede sono rimandati a quando la coscienza è del tutto annebbiata. Forse nel timore di dire ad altri la verità intorno alla sua morte imminente c’è la difficoltà ad accogliere la nostra morte, nell’illusione che i nostri giorni siano onnipotenti. La morte degli altri, che proprio oggi ricordiamo, è anticipo del nostro morire. Evocando la morte di un amico carissimo sant’Agostino scriveva: “Io stesso ero diventato un grande interrogativo”. Come se la morte d’altri compromettesse la mia certezza d’esser vivo e la rendesse precaria. La morte d’altri desta in me la coscienza del mio dover morire. È questo il senso di questo giorno.



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