Traccia di riflessione a cura di don Giuseppe Grampa (fonte)
SANTISSIMA TRINITÀ - ANNO B
Es 33, 18-23; 34,5-7° Rm 8, 1-9b Gv 15, 24-27
Mostrami il tuo volto, chiede Mosè a Dio, così nella prima lettura. Questa richiesta non proviene da un uomo scettico che vuole metter alla prova Dio: Se ci sei, se esisti, fatti vedere! No, Mosè è l'amico di Dio, con lui Dio parlava appunto come un amico parla al suo amico. Mostrami il tuo volto: è l'invocazione del credente che vorrebbe vedere Colui al quale si affida. Eppure questo Volto, tanto amato, non si mostra. Con una figura simbolica assai significativa Dio risponde: Potrai vedere solo la mia schiena, non il mio volto. Avrai un indizio della mia presenza ma i tuoi occhi non potranno scrutare i miei, resto per te, uomo, un mistero. Questa stupenda scena ci invita ad avvicinarci al mistero di Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo non con la pretesa di comprendere, cioè prender dentro i nostri concetti e le nostre definizioni la misteriosa realtà di Dio. Dio non sarà mai un oggetto di cui noi possiamo disporre, così come disponiamo degli oggetti della nostra conoscenza. La tradizione ebraica ha rigorosamente custodito la distanza tra Dio e l'uomo: l'uomo non può nemmeno nominare Dio, non può in alcun modo raffigurarlo e così neppure all'amico Mosè è dato di vedere il volto di Dio. Spesso noi cristiani pensiamo che quel che non è stato dato a Mosè è invece dato a noi: il volto di Gesù di Nazareth non è forse il volto di Dio? Al discepolo Filippo che gli chiedeva di vedere il Padre, Gesù risponde: Chi vede me vede il Padre. Ma il volto di Gesù è quello di un uomo. Sia detto con tutto il rispetto: il volto di un uomo qualsiasi. Ancora una volta il volto di Dio resta misteriosamente nascosto nei tratti del figlio del falegname. Di lui la gente del villaggio dice: Noi lo conosciamo bene, è cresciuto con i nostri figli, tutta la sua parentela è ben conosciuta, è uno di noi. Il volto di Dio ci è rivelato sì nel volto di Gesù ma ci è nascosto nei tratti della sua umanità. E quando tracciando sul nostro corpo il segno della croce invochiamo il Padre, il Figlio e lo Spirito santo guardiamoci dalla presunzione di aver dissolto il mistero. Questa parola, Trinità, che non troviamo in nessuna pagina della Scrittura Sacra, è un tentativo di esprimere quella singolare relazione che è Dio stesso.
Quante volte, nelle pagine evangeliche, Gesù si rivolge al Padre e sulle nostre labbra ha messo l'invocazione al Padre, come unica preghiera dei suoi discepoli. E per il Padre sarà l'ultimo respiro accompagnato dall'ultima invocazione: Padre nelle tue mani affido la mia vita. E ancora quante volte Gesù, uomo abitato dallo Spirito Santo, prometterà il dono di questo Spirito che riporti alla memoria dei discepoli di tutti i tempi le sue parole. Proprio riflettendo su questa relazione tra il Padre, il Figlio e lo Spirito, la teologia cristiana ha prodotto questa parola - Trinità - che non allude certo a tre personaggi che si tengono uniti a braccetto o peggio ad una figura mostruosa con tre teste. Ripetendo questi tre nomi raccontiamo una storia incredibile: Dio, il Padre ha tanto amato il mondo fino a dare il suo Figlio Gesù e lo Spirito di Gesù abita nei nostri cuori e ci suggerisce una sola parola che ha una singolare sfumatura di tenerezza e familiarità: Abbà, padre; meglio papà.
E ancora dire che Dio è Padre, Figlio e Spirito significa riconoscere al principio di tutto un nodo di relazioni, un legame, una comunione.
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