Anche in questa domenica continua l'epifania di Gesù, il suo manifestarsi. Il gesto della moltiplicazione dei pani è collocato nella cornice di una umanità sofferente che porta a Gesù i propri malati, una umanità che suscita in Gesù un moto di compassione che addirittura prende la sue viscere. Prima che un segno di potenza quello che Gesù sta per compiere è un gesto di intensa condivisione delle sofferenze e dei bisogni della gente. Ancora mi colpisce il comportamento di Gesù. Non c'è dubbio che avrebbe potuto fare tutto da solo e assicurare alla folla stanca e affamata il pane per tutti. E invece vuole associare i suoi discepoli, vuole associare noi alla sua azione provvidente e misericordiosa. Non fa cadere dall'alto i suoi doni ma ci chiama a fare la nostra parte. È bello questo agire di Gesù che si serve di noi, della nostra collaborazione. Impariamo questo stile di Gesù che ci associa alla sua sollecitudine, valorizza il nostro pur modesto contributo, rispetta le nostre capacità.
Dio vuole avere bisogno degli uomini perché di fronte a Lui siamo esseri liberi, coscienti e capaci. I cinque pani e i due pesci che i discepoli mettono a disposizione, la piccola provvista di qualcuno previdente, è il segno della nostra partecipazione alla compassione di Gesù per la moltitudine. Ma quale sproporzione tra i cinque pani e i due pesci e la folla, circa cinquemila uomini senza contare donne e bambini!. Come sfamare questa moltitudine con una così modesta risorsa? Mi sembra che la situazione descritta nella pagina evangelica si ripeta spesso nella nostra vita. Quante volte dobbiamo confessare la nostra inadeguatezza, il nostro non essere all'altezza dei compiti che ci attendono. E questo sia sul piano personale che su quello sociale diremmo politico. Compiere con onestà e rigore i propri doveri professionali, rispondere sempre alla propria coscienza, non venir meno alla parola data, soprattutto alla parola che abbiamo dato alla persona con la quale condividiamo la vita: quanto è difficile e quanto esigue le nostre risorse morali. Anche noi ci troviamo con pochi pani e pochi pesci. Se poi il nostro sguardo si allarga al mondo in cui viviamo, alle sfide drammatiche che chiamiamo guerre, fame, immigrati allora il senso di impotenza può generare indifferenza. Papa Francesco ci ha messo in guardia dalla “globalizzazione dell’indifferenza” che rende gli individui così come gli Stati indifferenti alle sorti dell’umanità. Forse anche noi come i discepoli nella scena evangelica cerchiamo la soluzione alla nostra impotenza allontanando il problema. I discepoli invitano Gesù a congedare la folla perché trovi altrove il cibo necessario. Sembra davvero una soluzione di buon senso. Ma diversa è l’opinione del Maestro che non ci sgrava delle nostre responsabilità e prende nelle sue mani i pochi pani e i pochi pesci perché diventino nutrimento per la moltitudine. Anche l’ultima sera della sua vita Gesù prenderà nelle sue mani il pane compirà gli stessi gesti: alzare gli occhi al cielo, benedire, spezzare. Anche quel pane dell’Ultima Cena sarà per la moltitudine. “Date voi stessi da mangiare”, un imperativo che ci impegna a mettere nelle mani di Gesù quello che siamo, quello che abbiamo
perché diventi nutrimento per la moltitudine. Quante volte nella storia, il coraggio di un solo uomo, la sua resistenza, la sua dedizione hanno fatto argine all’egoismo e dilatato gli spazi della solidarietà. Nessuno è così povero da non avere nella sua bisaccia un po' di pane: il Signore misteriosamente moltiplicherà la nostra povertà e ne farà pane abbondante per la moltitudine.
Giuseppe Grampa
III domenica dopo l'Epifania
Nm 11,4-7.16a.18-20.31-32a;
1Cor 10,1-11b
Mt 14,1-b-21
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