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Quale il fine del tempo?



La lunga pagina evangelica annuncia a tinte fosche la fine del tempo: verranno meno anche le opere dell'uomo a cominciare dalla più grandiosa per gli ascoltatori di Gesù: il magnifico tempio di Gerusalemme: "Non sarà lasciata pietra su pietra che non venga distrutta". Questo linguaggio allusivo che non deve esser inteso come puntuale descrizione del tempo della fine, esprime una dura verità: noi abitiamo il tempo, lo misuriamo, lo calcoliamo, tentiamo di dominarlo, lo sfruttiamo al meglio ma non ne siamo davvero i padroni, ne siamo solo inquilini provvisori. Il linguaggio di queste pagine apocalittiche della Scrittura Sacra, preso alla lettera, ci sembra del tutto improponibile, più che incutere terrore rischia di farci sorridere. Eppure non possiamo sbarazzarci, magari con un gesto di sufficienza, di questa verità certamente ardua ma decisiva. Dobbiamo invece lasciarci istruire dall'appello a vivere la precarietà del tempo, la costitutiva fragilità di tutte le cose. La dura esperienza della precarietà del tempo ci ricorda il nostro limite, ci impedisce di ritenerci onnipotenti, appunto come se fossimo padroni del tempo, padroni del nostro vivere e del nostro morire. La dura esperienza della pandemia ce lo ricorda ogni giorno. Potrebbe derivare da questa esperienza una sorta di amaro scetticismo capace di distoglierci dalla gioia di vivere. Vi propongo, invece, una parola di Lutero, che ci suggerisce un modo suggestivo per vivere i nostri giorni precari continuando ad amare, coltivare la terra: “Se sapessi che il mondo deve finire oggi, pianterei ugualmente un alberello di melo”. Perché piantare un albero se proprio la pagina evangelica sembra farci toccare con mano l’andare verso la fine? Nella prima generazione cristiana la persuasione della fine imminente aveva spinto alcuni ad abbandonare il lavoro: perché lavorare, prendersi cura della terra, appunto piantare alberi, se la nostra vita va inesorabile al capolinea? E invece ha ragione chi pianta alberi perché in verità non andiamo verso la fine, la catastrofe cosmica, ma andiamo verso il fine, verso Colui che è il fine, il termine, il senso del nostro precario esistere. Anzi, il nostro lavoro costruisce e prepara nei solchi della terra il Regno. Nessuna gioia e nessuna fatica, nessuna lacrima e nessun gesto di amore e di amicizia vanno perduti perché andiamo verso Colui che ha voluto condividere la nostra fragile condizione umana ed è venuto “perché nulla vada perduto”. Certo, la fosca pagina che abbiamo ascoltata è segnata da eventi catastrofici e infatti il termine ‘apocalissÈ è diventato purtroppo sinonimo di catastrofe cosmica. In verità ‘apocalisse’ è svelamento, è toglimento del velo che ancora copre il volto dell’umanità e della terra. Apocalisse è manifestazione del volto del Signore Gesù, il Figliodell'uomo che viene sulle nubi del cielo con grande potere e gloria. L'Evangelo di oggi ci avverte della precarietà di tutte le cose anche le più belle. Ma questa domenica nel segno della fine è la prima domenica di Avvento, è l'inizio di un nuovo anno per il calendario cristiano. La chiesa custodisce un suo calendario perché ha una sua nozione del tempo non come inesorabile ripetizione di anno in anno della medesima vicenda naturale ma piuttosto come itinerario verso il mistero di Cristo. Di domenica in domenica, rivivendo le tappe della vita del Signore Gesù, la Chiesa ci educa ad assumere gli stili di vita propri di Cristo, per essere a Lui sempre più somiglianti. Il tempo che iniziamo oggi a vivere--tempo di Avvento--dice di una venuta, di un incontro. In verità noi non andiamo semplicemente verso una catastrofe cosmica che lasci solo un cumulo di macerie; andiamo verso Colui che è il compimento di ogni nostra speranza. Incominciamo a vivere una attesa, attesa di un avvento, attesa di qualcuno che ci viene incontro. Tutti noi conosciamo l'emozione che ci prende quando attendiamo di incontrare una persona cara, quando andiamo ad un appuntamento lungamente desiderato. Iniziamo oggi il nostro Avvento, andiamo passo dopo passo verso Colui che ci viene incontro. Lo stringeremo tra le braccia: adesso abbiamo 39 giorni di trepidante attesa. Buon cammino di Avvento.


Giuseppe Grampa


Prima domenicadi Avvento Is 24, 16b-23

1Cor 15, 22-28

Mc13,1-27

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