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«Laudate Deum», facciamo insieme qualcosa per noi e per la

Dalla riflessione al pungolo critico, dalle buone prassi agli stili di vita: a questo sono chiamate le comunità parrocchiali secondo Elena Granata, la cui riflessione è inserita nell’edizione dell’esortazione di papa Francesco pubblicata da Centro ambrosiano, disponibile dal 16 ottobre

di Elena GRANATA

Da lunedì 16 ottobre nelle librerie religiose e su itl-libri.com è disponibile l’esortazione apostolica «Laudate Deum. Milano ha raccolto la sfida?» (Centro Ambrosiano, 112 pagine, 6 euro), con commenti di Luca Bressan, Luciano Gualzetti, Antonio Caschetto, Gloria Mari ed Elena Granata, docente al Politecnico, di cui pubblichiamo uno stralcio.

L’ultima parte dell’esortazione si rivolge direttamente ai cristiani e in generale alle persone di fede, che sono state paradossalmente tra le più tiepide nell’accogliere la Laudato si’. Il messaggio di Bergoglio ha spesso avuto più risonanza nel mondo laico che nelle comunità ecclesiali. Troveremo il tempo in queste settimane di leggere la Laudate Deum e di rileggere la Laudato si’?

Tutte le parrocchie dovrebbero mettere in programma un momento di riflessione e di condivisione su questo tema. Così da condividere idee, emozioni, suggerimenti, proposte là dove le persone vivono insieme. Sono certamente importanti le scelte personali, come famiglie, le scelte di consumo e di stile di vita, ma dobbiamo fare un salto di scala e dare un segnale anche come comunità locali: piantare alberi in tutte le parrocchie, immaginare comunità energetiche locali, utilizzare gli spazi vuoti per i bisogni che nascono dal territorio (sia per l’accoglienza sia per le necessità dei più giovani), ripristinare pratiche di consumo critico e di acquisto a km zero, recuperando la relazione tra chi produce e chi consuma, rivedere insieme il consumo di carne, l’uso delle plastiche, la raccolta dell’acqua piovana, sostituire ove possibile al cemento e all’asfalto materiali drenanti e capaci di assorbire acqua. Fare proposte alle amministrazioni, svolgere un ruolo critico e di pungolo. Sono tutte azioni concrete, possibili, motivanti che ci farebbero riscoprire il piacere di “fare insieme” qualcosa per noi e per la nostra Terra. Usciamo dalle sacrestie, dalle stanze del catechismo, dalla nostra comfort zone.

Siamo pigri, amiamo le abitudini, procrastiniamo le decisioni, siamo inclini a fare quello che fanno gli altri. Ci costa fatica capire e fatica cambiare. Ma questa resistenza non ha un fondamento solido. Siamo animali un po’ stupidi e abbiamo bisogno di spinte gentili. Se la scelta è facile da capire, accessibile e soprattutto piacevole e divertente non incontra ostacoli.

Siamo anche conformisti. Troviamo conforto nelle norme sociali che ci aiutano a fare quello che vorremmo fare ma non abbiamo il coraggio di iniziare da soli. Pensate al divieto di fumare nei locali, alla cintura di sicurezza in auto, al casco in moto o in bicicletta. Sono tutti comportamenti che riteniamo corretti, giusti, auspicabili ma che mettiamo in pratica solamente quando la legge ce lo impone perché la legge toglie ogni alibi alla nostra indolenza e al desiderio di trasgredire ancora un’ultima volta a quello che pure desideriamo fare. Infine, siamo benevoli con le omissioni, le cose non fatte, le parole a cui non fanno seguito i fatti. Il nostro cervello tende a condannare i gesti negativi e a perdonare le omissioni. Se un imprenditore sversa rifiuti tossici in un fiume è deprecabile; se il sindaco di una grande città non fa nulla per la qualità dell’aria e non si prende cura degli effetti su salute, qualità di vita, disagio mentale, il nostro cervello lo assolve!

Gli omissis, quello che ciascuno di noi potrebbe fare e invece non fa, quello che un decisore potrebbe fare e non fa, quello che un politico potrebbe fare e non fa, viene valutato meno che l’errore fatto, anche se piccolo e trascurabile. Pigri – conformisti – benevoli con quello che non facciamo. Per questo motivo dovremo impegnare la nostra intelligenza a plasmare “in modo ecologico” i luoghi dove le persone vivono, consumano, lavorano, si muovono. Le città sono il posto giusto dove educare e orientare i comportamenti di migliaia di persone contemporaneamente. Perché sia facile, a portata di tutti e socialmente desiderabile vivere in modo più sobrio. Dobbiamo cominciare a considerare le azioni inconsapevoli. C’è un enorme numero di persone che hanno cominciato a compiere azioni che fanno bene al pianeta senza grande consapevolezza. Acquistano cibo che viene da produzioni locali, direttamente dal web, non perché siano interessate alla causa del clima o dell’agricoltura responsabile ma perché amano mangiare bene o perché trovano originale regalare alberi e altri oggetti meno convenzionali. Stanno crescendo le opportunità di fare bene al pianeta anche per persone che non hanno nessuna intenzione di fare bene al pianeta. Il tempo è poco e solo un’azione convergente tra chi si muove per passione e chi per interesse potrà sortire dei risultati concreti. Affinché le azioni e le misure di intervento siano in qualche modo efficaci c’è bisogno del coinvolgimento di quella che possiamo definire la larghissima schiera dei “disimpegnati”.

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