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Gesù il figlio e noi con lui figli


In questa domenica, ultimo giorno dell’anno, abbiamo riascoltato la prima pagina dell’Evangelo di Giovanni che già nella notte di Natale la Chiesa ci ha proposto. Pagina ardua, tra le più impegnative dei quattro Evangeli. Non è quindi inutile riprenderla. “In principio…” l’espressione è analoga a quella che apre il primo libro della Bibbia. Giovanni ci riporta non tanto al primo mattino dell’universo ma più profondamente a Colui dal quale tutto ha avuto origine. Ma non per fare concorrenza alla ricerca degli uomini che attraverso l’insonne lavoro delle scienze tentano di conoscere l’intera realtà. No, l’Evangelo e la Rivelazione che racchiude non è in alcun modo alternativo alla fatica della ricerca scientifica. L’Evangelo ci svela l’intenzione racchiusa nel cuore di Dio, principio di tutto e di tutti. E questa intenzione da sempre e per sempre ha un solo nome: Gesù. Giovanni qui non pronuncia questo nome ma dice che è Verbo, cioè parola. E la Parola non è forse, per ognuno di noi il fragile mezzo attraverso il quale la nostra interiorità si apre, si manifesta, si comunica. Così anche per Dio che da sempre e per sempre pronuncia una Parola, anzi la Parola, ci svela l’intenzione che è in Lui: quella che tutto esista per mezzo di Lui, in Lui, in vista di Lui, il Figlio che entrando nel tempo avrà nome Gesù.

Diciamo con altre parole questo stupendo mistero: Dio vuol essere Padre, solamente Padre: Padre del figlio primogenito Gesù e in Lui, per mezzo di Lui e in vista di Lui, Padre di ogni uomo e donna che entra in questo mondo. Questa la certezza che non appariva quando dal caos primordiale il Creatore ha tratto ogni cosa, questa la certezza che nel Figlio Gesù che è da sempre nel Padre, ci viene svelata. Il mondo, l’intera realtà è come avvolta da questa paternità che non esclude ma tutti abbraccia. Quante volte Gesù ci svelerà il mistero di questa paternità che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi e dona la sua pioggia ai giusti e ai malvagi. E un’unica parola Gesù ci insegnerà perché possiamo rivolgerci a Dio chiamandolo PADRE. Ecco l’arduo testo che apre l’evangelo di Giovanni e abbiamo ascoltato, ci fa partecipi di questa stupenda certezza: una sola parola Dio pronuncia e questa parola è il suo Figlio Gesù, nel quale ognuno di noi è chiamato ad essere figlio.

In questo ultimo giorno dell’anno questa parola—Padre—e questa certezza—il nostro essere con Gesù, figli—possono illuminare il tempo che, inesorabile trascorre. Domani avremo sulle spalle il carico di un anno e forse tra gli auguri e i brindisi di questa notte una sottile tristezza si insinuerà in noi. La stupenda certezza di questa paternità, fondamento del nostro legame fraterno con ogni uomo e donna, può dare ai nostri giorni incerti quella luce che in una notte lontana ha rischiarato i pascoli di Betlemme e annunciato che quel Verbo, quella Parola che Dio pronuncia da sempre si è fatta carne, cioè fragile umanità, segnata dal tempo, si è fatta condizione umana perché nulla e nessuno vada perduto. Se i terroristi che pretendono di rifarsi all’Islam ricordassero quella parola mirabile del Corano: Chi salva un uomo è come salvasse l’intera umanità, chi uccide un uomo é come uccidesse l’intera umanità, non seminerebbero stragi. Ma anche noi cristiani siamo smemorati: abbiamo alle spalle giorni duri scanditi dai rifugiati e migranti entrati in Europa e la strage silenziosa nel Mediterraneo. I nostri paesi europei di antica cristianità sembrano aver dimenticato l’appello evangelico a riconoscere nell’altro, soprattutto nel piccolo, nel povero il volto stesso del Signore. Giorni duri che hanno offuscato il valore della nostra comune appartenenza alla condizione umana. Se nei giorni del nuovo anno ritroveremo questa comune appartenenza non dovremo vergognarci di appartenere all’umanità, proprio quella umanità che il Figlio di Dio ha fatto propria. Ecco la buona notizia per i giorni del nuovo anno, ecco l’Evangelo: il Figlio di Dio si è fatto uomo nel grembo di una donna, Maria. Quel Dio che gli uomini dalla notte dei tempi cercano nelle altezze, nell’infinita distanza dall’uomo, estraneo alla nostra povertà di creature incerte e fragili, quel Dio si è fatto così vicino da stare nelle braccia di una giovane donna. E’ questa certezza che ci rende capaci, nonostante tutto, di chiudere serenamente questo anno con la parola della gratitudine sulle labbra e nel cuore.

Te Deum laudamus…


Giuseppe Grampa


Domenica nell’ottava del Natale

Pr 8,22-31

Col 1,13b.15-20 Gv 1, 1-14



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