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Elogio dell'incredulo


Non meravigliatevi se oggi, guardando l’apostolo Tommaso, farò l’elogio dell’incredulità. Mi spiego. Povero Tommaso: anche nel parlare corrente si dice: Sei come san Tommaso se non ci metti il dito non credi. E così Tommaso è diventato l’incredulo, lo scettico per eccellenza. Bisogna invece esser onesti e riconoscere che Tommaso è in ottima compagnia con gli altri discepoli come lui increduli, per niente disposti a credere all’annuncio della Risurrezione. Inoltre questo annuncio veniva portato dalle donne, Maria di Magdala la prima e poi le altre. Come prender per buone le loro parole, come non pensare che l’amore per Gesù e il dolore per la sua morte violenta avessero sconvolto la loro mente?. Mi sembra quindi doveroso accanto a Tommaso ricordare tutti gli altri che, come lui, hanno reagito con l’incredulità all’annuncio della Risurrezione. Davvero Tommaso, l’Incredulo, non è affatto solo. Gli Evangelisti sono davvero onesti nel raccontare con cura meticolosa l’incredulità degli Apostoli che ci fanno una ben magra figura. Così, secondo Luca, quando le donne riferiscono d’aver trovato la tomba vuota, le loro parole vengono prese come “vaneggiamento” e non sono credute. E secondo Marco, le donne, uscite dal sepolcro ormai vuoto, fuggono via spaventate e non dicono niente a nessuno perché hanno paura. E sempre Marco annota che quando gli Undici videro il Risorto si prostrarono innanzi a Lui, alcuni però dubitavano. E Gesù rivolge loro un duro rimprovero per la loro incredulità e durezza di cuore. E Giovanni, abbiamo letto, quasi riassume questa incredulità nella figura di Tommaso. Eppure i discepoli avevano ripetutamente ascoltato dal Maestro l’annuncio della sua passione, morte e della sua risurrezione il terzo giorno, ma sembra abbiano dimenticato quest’ultima parola. Anzi, due di loro la sera stessa del giorno di Pasqua lasciano Gerusalemme e fanno ritorno al loro villaggio di Emmaus per riprendere la loro vita consueta che avevano lasciato per seguire Gesù. Avevano sperato in Lui ma ormai tutto è finito. È a questi uomini rassegnati e sfiduciati che Gesù si fa incontro con i segni evidenti della sua passione. È lui l’uomo della croce, è vivo, corporalmente vivo. Perché ho ripercorso le pagine evangeliche dei giorni dopo la risurrezione sottolineando la diffusa, tenace incredulità di tutti discepoli? Certo per rispetto verso Tommaso che davvero non è l’unico incredulo ma perché penso a me e forse anche a qualcuno di voi che mi legge. L’annuncio pasquale è davvero vertiginoso per la nostra comprensione umana e se, pur avvertendo la bellezza, siamo come paralizzati dall’incredulità, se di fronte alla morte di Gesù così come di fronte alla morte di una persona cara non abbiamo che lacrime e rassegnazione, ecco siamo proprio come i discepoli: la fatica ad aprirci alla novità della pasqua è stata anzitutto fatica dei discepoli. Può essere anche la nostra fatica, quella di ognuno di noi. Non disponiamo di parole per dire la Risurrezione, mentre ne abbiamo per dire la nascita e la morte. Queste esperienze ci appartengono ne siamo testimoni tante volte e ci colmano di gioia o di dolore. Della Risurrezione non abbiamo esperienza alcuna e non abbiamo parole per esprimerla. Ecco perché l’incredulità merita ogni rispetto. Indica il limite della nostra comprensione umana, dà voce ad una assenza che è umanamente definitiva. L’incredulità di Tommaso e di tutti gli altri dice, con durezza, la potenza distruttiva della morte che bisogna umilmente riconoscere e attraversare perchè i nostri cuori, illuminati dalla fede, possano aprirsi


all’incredibile parola della risurrezione. A noi, proprio a noi è dedicata quella parola di Gesù che può sostenere i nostri dubbi, le nostre fatiche a credere: “beati coloro che senza aver visto crederanno”. I nostri occhi non hanno visto, le nostre mani non hanno toccato il corpo del Risorto eppure possiamo credere anche grazie al dito esitante di Tommaso che sfiora appena le ferite dei chiodi.


Giuseppe Grampa




SECONDA DOMENICA DI PASQUA

Atti 4, 4,8-24a

Colossesi 2,8-15

Giovanni 20, 19-31

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