Da Milano a Camerino per suor Marzia Francesca
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- 10 ott
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Aggiornamento: 4 giorni fa

Nessuna vita è inutile, neanche quella di chi lascia un’attività lavorativa promettente per abbracciare uno stile di preghiera e di volontario allontanamento dal resto del mondo. Questo è il messaggio che hanno ricavato quanti di noi sono stati presenti alle celebrazioni per i voti temporanei di suor Marzia Francesca Comito nell’Ordine delle Sorelle Povere di Santa Chiara, ovvero le Clarisse.
L’arrivo a Camerino e l’incontro con suor Marzia
Una delegazione di nove persone è partita alle 7.30 di venerdì 3 ottobre da San Barnaba alla volta di Camerino, in provincia di Macerata e in diocesi di Camerino-San Severino Marche, dove sorge il monastero di Santa Chiara in cui suor Marzia, nativa proprio di San Barnaba, risiede dal 2022: il 17 settembre di quell’anno, infatti, lei ha iniziato il postulato, ovvero il periodo di discernimento più intenso per capire se davvero fosse chiamata alla vita contemplativa.
Dopo la sistemazione in albergo, il gruppo si è diretto al monastero, dove già si trovavano i genitori della futura monaca, Marcello ed Elisabetta. Dopo qualche minuto di attesa nel parlatorio del nuovo monastero, costruito accanto alla sede più antica, che è ancora inagibile a causa del terremoto del 2016, è arrivata proprio suor Marzia, accompagnata da suor Chiara Wiktoria, la maestra delle novizie.
La sua nuova vita in monastero

Il dialogo con suor Marzia è proseguito in un ambiente più ampio, nei pressi del salone dove le monache ospitano quanti chiedono di passare qualche giorno di ritiro da loro. «Noi siamo un luogo importante perché la gente può venire e viene ascoltata: sono le relazioni che fanno ripartire la vita», ha esordito, passando poi a descrivere la comunità, composta in tutto da cinque monache lei compresa, e gli ambienti, che tutta la comunità ha riorganizzato così da ricavare uno spazio per le future novizie, dove lei stessa ha seguito alcune lezioni online.
Ha poi descritto la struttura giuridica del monastero e raccontato come la ricostruzione sia stata permessa grazie ai fondi stanziati dalle Caritas delle diocesi di Milano, Bergamo e Brescia e favorita dal passaggio di Luciano Gualzetti, presidente uscente di Caritas Ambrosiana, proprio per Camerino, dopo il terremoto del 2016.
Le ragioni di una scelta
Nell’aria aleggiava una domanda, che in tanti si sono posti, ma che solo in quel momento è emersa: quella sul perché Marzia avesse scelto di farsi monaca proprio a Camerino. In totale semplicità, ha risposto: «Perché c’è stato un incontro. È come per un marito: ti accorgi che è lui e non un altro».
In sostanza, nell’estate 2021, ha partecipato a un pellegrinaggio lungo il Cammino delle Terre Mutate, che tocca i luoghi devastati dal terremoto di dieci anni fa, Camerino compresa. «Sono rimasta colpita dal modo umano che le monache avevano nel vivere la vita consacrata, così ho chiesto di conoscerle meglio»; dopo un’esperienza di un anno e mezzo, ha deciso di entrare (un racconto più esteso è disponibile qui).
In questi quattro anni, suor Marzia ha capito che doveva «imparare a stare, quindi a vivere, senza necessariamente fare qualcosa». Contrariamente a quanto insegna la società di oggi, «è possibile imparare a vivere sotto un altro sguardo: devi lasciarti andare e liberarti, riconoscendo che a Dio andiamo bene così come siamo; anche se vorremmo essere sempre al centro dell’attenzione, dobbiamo vivere alla Sua presenza», facendo inevitabilmente i conti con i dubbi e i ripensamenti.
La veglia nella chiesa del monastero

Presieduta da padre Alessandro Angelisanti, dell’Ordine dei Frati Minori, venuto appositamente da Loreto, la veglia si è svolta nella chiesa del monastero. Nella sua meditazione, ha ripreso il Vangelo appena proclamato, quello della triplice professione d’amore da parte di san Pietro di fronte a Gesù risorto. Nel suo cammino, ha visto quello che accade a ogni chiamato: l’inadeguatezza, la lotta tra paura e rabbia, il rinnegamento, fino a quel «Mi ami?» con cui il Signore ricorda a lui, anzi a ciascuno, che è amato infinitamente.
Per segnare concretamente questo amore, chi voleva poteva alzarsi, mettersi ai piedi del Crocifisso portato in processione all’inizio della veglia da alcuni giovani (erano presenti in tanti, dai ragazzi dell’Unità Pastorale di Camerino ai vecchi amici di Giovani e Missione) e compiere un semplice atto di venerazione, anche con un bacio.
Subito dopo, ognuno ha acceso una candela e l’ha messa accanto all’urna con le spoglie di suor Camilla Battista Da Varano, la fondatrice del monastero, canonizzata nel 2010. Proprio sopra di essa è stato posato il velo che suor Marzia avrebbe indossato l’indomani e che padre Alessandro ha benedetto.
La Messa della professione temporanea

Alle 16.30 di sabato 4 ottobre, nella basilica di San Venanzio, è iniziata la Messa con il Rito della Professione temporanea di suor Marzia, che in quest’occasione ha aggiunto il nome di Francesca a quello che portava dal Battesimo: «L’ho fatto perché mi sento legata a san Francesco e per rifarmi alle origini del nostro Ordine», ha spiegato pochi istanti prima della celebrazione, che è stata presieduta da padre Simone Giampieri, Ministro (ossia superiore) provinciale dei Frati Minori delle Marche.
La sua omelia ha toccato i punti fondamentali del Testamento di san Francesco – dopotutto, era il giorno della sua festa liturgica – applicandoli anche alla nuova tappa del cammino di suor Marzia Francesca: «Nella nostra vita religiosa, puntiamo sempre al massimo, diamo il massimo, perché Colui che a noi si dona ha donato a noi tutto», ha concluso.

Quindi tanti segni dal sapore antico, ma rinnovato nella vita della nuova monaca: l’appello e la domanda, a cui ha risposto «Mi hai chiamato; eccomi, Signore»; le interrogazioni, ritmate dai suoi «Sì, lo voglio»; la preghiera con cui è stata invocata su di lei la Grazia divina; la professione, emessa nelle mani di madre Laura Cristiana Girometti, abbadessa del monastero di Camerino; le consegne del velo – quest’ultima accompagnata dal taglio dei capelli, per nulla simbolico, in ricordo di quel che per prima fece santa Chiara d’Assisi – , del libro della Regola e del Crocifisso; infine, l’accoglienza nella fraternità, sancita da un abbraccio con tutte le monache, comprese quelle dei monasteri di San Severino, Paganica e Urbino, e coi sacerdoti concelebranti: tra di essi, don Mauro Santoro e don Giuseppe Lotta, che hanno accompagnato suor Marzia Francesca nei loro anni a San Barnaba, e don Davide Bertocchi, in rappresentanza della nostra Comunità pastorale.
I familiari di suor Marzia Francesca – erano presenti anche la sorella minore Eleonora, uno zio paterno e la moglie di lui – hanno faticato a trattenere tutta la loro commozione, culminata con lo scambio della pace.
L’abbadessa, prima della benedizione finale, ha rivolto parole di consolazione per loro: «Oggi noi siamo tutti qui per dirvi, davanti al Signore, che Marzia non è una figlia persa, ma una figlia donata; che la sua vita non è una vita diminuita, ma moltiplicata, direi centuplicata, e che vive questo paradosso, il paradosso di una vita nascosta, e che eppure ne fa una lampada accesa e messa sul monte di questa comunità».
Il porticato della basilica, terminata la Messa, si è riempito di tavoli con pietanze di ogni genere, proprio come il “padre della sposa”, così si era definito in precedenza il signor Marcello, aveva promesso. Apprezzatissimi sono stati soprattutto la porchetta e i mustaccioli al cioccolato, per confezionare i quali si è tenuta quasi una gara tra le massaie del luogo. Non poteva infine mancare una torta di pasticceria, che suor Marzia Francesca ha tagliato affiancata dalle consorelle.
La celebrazione di domenica e gli ultimi saluti
I genitori di suor Marzia Francesca hanno invitato i suoi amici, prima che tornassero a casa, a partecipare alla Messa alle 9 dell’indomani, domenica 5 ottobre, nella chiesa del monastero. L’ha presieduta padre Mario Ghezzi (anche lui tra i concelebranti alla Messa della Professione temporanea), direttore del Centro Pime di Milano negli anni in cui la neoprofessa aveva frequentato Giovani e Missione, ovvero i cammini per giovani del Pontificio Istituto Missioni Estere, attualmente superiore della comunità di Villa Grugana.
Per spiegare il brano di Vangelo proposto per la XXVII Domenica del Tempo Ordinario si è rifatto alla testimonianza del confratello padre Tullio Favali, assassinato l’11 aprile 1985. Anche la vita di quel missionario poteva sembrare inutile: era uscito dal Seminario della diocesi di Mantova a un anno e mezzo dal sacerdozio, poi, entrando nel Pime, aveva chiesto di ricominciare daccapo la formazione teologica; infine, è stato ucciso neanche due anni dopo essere arrivato nelle Filippine. Eppure oggi è ricordato tra i martiri del suo istituto, proprio perché si era reso disponibile alla missione a cui Dio l’aveva chiamato.
Finita la Messa, suor Marzia Francesca e madre Laura Cristiana si sono rese disponibili ancora per qualche parola e per le immancabili fotografie. Il gruppo di San Barnaba si è congedato con la promessa di restare in contatto con le Clarisse di Camerino, nel nome di una relazione che ora assume un significato diverso, ma non meno concreto.
Emilia Flocchini
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