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Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani 2023

Imparate a fare il bene, cercate la giustizia (Isaia 1,17)



Quando venite a rendermi culto chi vi ha chiesto tutte queste cose e la confusione che fate nel mio santuario? Le vostre offerte sono inutili. L’incenso che bruciate mi dà nausea. Non posso sopportare le feste della nuova luna, le assemblee e il giorno di sabato, perché sono accompagnati dai vostri peccati. Mi ripugnano le vostre feste della luna nuova e le vostre celebrazioni: per me sono un peso e non riesco più a sopportarle. Quando alzate le mani per la preghiera, io guardo altrove. Anche se fate preghiere che durano a lungo io non le ascolto, perché le vostre mani sono piene di sangue. Lavatevi, purificatevi, basta con i vostri crimini. È ora di smetterla di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, aiutate gli oppressi, proteggete gli orfani e difendete le vedove. Ma sia ben chiaro – dice il Signore – anche se per i vostri peccati siete rossi come il fuoco, vi farò diventare bianchi come la neve e puri come la lana.


Isaia 1,12-18, tratto da Parola del Signore. La Bibbia. Nuova versione interconfessionale in lingua corrente, Elledici-Alleanza Biblica Universale, Torino-Roma 2014.


Ci uniamo a questa invocazione corale nella preghiera personale e in famiglia, e anche nelle Messe di questi giorni.



Isaia visse e profetizzò nel regno di Giuda durante l’VIII secolo a.C. e fu contemporaneo di Amos, Michea e Osea, in un periodo di grande prosperità economica e stabilità politica, sia per Israele che per Giuda, a motivo del declino delle due “superpotenze” dell’epoca: l’Egitto e l’Assiria. Tuttavia, era anche un periodo in cui in entrambi i regni dilagavano l’ingiustizia, la disparità e le disuguaglianze.

Era anche un’epoca in cui la religione prosperava, come espressione rituale e formale della fede in Dio, incentrandosi sulle offerte e sui sacrifici del Tempio; questa religione formale e rituale era presieduta dai sacerdoti, che erano anche i beneficiari della generosità dei ricchi e dei potenti. A motivo della vicinanza e delle relazioni intercorrenti tra il Palazzo reale e il Tempio, il re e i sacerdoti esercitavano maggiore influenza e detenevano il potere, senza tuttavia, nella maggior parte dei casi, preoccuparsi per quanti soffrivano ingiustizie ed oppressione, secondo una visione del mondo – propria dell’epoca ma ricorrente anche al giorno d’oggi – per cui i ricchi e i largitori di congrue offerte erano considerati buoni e benedetti da Dio, mentre coloro che erano poveri e non potevano offrire sacrifici erano ritenuti malvagi e maledetti da Dio. I poveri venivano spesso denigrati per la loro indigenza economica, che non permetteva di partecipare pienamente al culto del Tempio.

In tale contesto, le parole di Isaia tentavano di risvegliare la coscienza del popolo di Giuda alla realtà in cui si trovava, mostrando come quel tipo di religiosità non fosse una benedizione ma, al contrario, una ferita aperta e un sacrilegio davanti all’Onnipotente. L’ingiustizia e la disuguaglianza avevano portato a divisioni e discordie; il profeta denunciava le strutture politiche, sociali e religiose e l’ipocrisia nell’offrire sacrifici a Dio mentre si opprimevano i poveri. Isaia si pronunciava vigorosamente contro i capi corrotti e a favore degli svantaggiati, riponendo la giustizia e la rettitudine solo in Dio.

Il Gruppo di lavoro locale, nominato dal Consiglio delle chiese del Minnesota, ha scelto questo versetto del primo capitolo del profeta Isaia come testo di riferimento per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani del 2023: “Imparate a fare il bene, cercate la giustizia, aiutate gli oppressi, proteggete gli orfani e difendete le vedove” (Is 1, 17).

Isaia insegnava che Dio chiede rettitudine e giustizia da tutti noi, in ogni momento e in tutte le sfere della vita. Il mondo di oggi ripropone, in molti modi, le sfide della divisione che Isaia fronteggiò nella sua predicazione. La giustizia, la rettitudine e l’unità hanno origine dal profondo amore di Dio per ognuno di noi e rispecchiano chi è Dio e come Dio si aspetta che ci comportiamo gli uni con gli altri. La volontà di Dio di creare una nuova umanità “di ogni nazione, popolo, tribù e lingua” (Ap 7, 9) ci richiama alla pace e all’unità che Egli ha sempre voluto per il creato.

Il linguaggio del profeta riguardo la religiosità del tempo è spietato: “Le vostre offerte sono inutili. L’incenso che bruciate mi dà nausea. [...] Quando alzate le mani per la preghiera, io guardo altrove” (Is 1, 13-15). Una volta pronunciate queste condanne sferzanti e identificato ciò che è sbagliato, Isaia suggerisce come rimediare a queste iniquità, e istruisce il popolo di Dio: “Lavatevi, purificatevi, basta con i vostri crimini. È ora di smetterla di fare il male” (Is 1, 16).

Oggi, la divisione e l’oppressione continuano a manifestarsi quando a un singolo gruppo o classe sociale vengono accordati dei privilegi rispetto ad altri. Il peccato di razzismo è evidente in qualsiasi fede o prassi che distingua o elevi una “razza” rispetto ad un’altra; quando accompagnato o sostenuto da squilibri di potere, il pregiudizio razziale va oltre le relazioni individuali e giunge fino alle strutture stesse della società, divenendo un fenomeno sistemico. Il razzismo ha ingiustamente avvantaggiato alcuni, chiese comprese, e aggravato ed escluso altri, semplicemente a motivo del colore della pelle e dell’influenza di associazioni culturali basate sulla percezione della “razza”[1].

Come le persone religiose così veementemente denunciate dai profeti biblici, anche alcuni cristiani sono stati, o continuano ad essere, complici nel sostenere o perpetuare pregiudizi e oppressione e nel fomentare la divisione. La storia mostra che, invece di riconoscere la dignità di ogni essere umano creato a immagine e somiglianza di Dio, i cristiani si sono troppo spesso coinvolti in strutture di peccato come la schiavitù, la colonizzazione, la segregazione e l’apartheid, che hanno deprivato gli altri esseri umani della loro dignità, adducendo il falso motivo della razza. È accaduto che, anche all’interno delle chiese, i cristiani non abbiano riconosciuto la dignità di tutti i battezzati e abbiano sminuito la dignità dei loro fratelli e delle loro sorelle in Cristo, sulla base di pretestuose differenze razziali.

Ricordiamo le memorabili parole di Martin Luther King Jr: “Dovete affrontare il tragico fatto che quando vi alzate alle undici di domenica mattina […] vi trovate nell’ora più segregata dell’America cristiana”. Questa affermazione evidenzia la connessione tra la disunione dei cristiani e la disunione dell’umanità. Tutte le divisioni affondano le loro radici nel peccato, cioè negli atteggiamenti e nelle azioni che vanno contro l’unità che Dio desidera per tutta la sua creazione. Il razzismo è tragicamente parte del peccato che ha diviso i cristiani gli uni dagli altri, ha fatto sì che i cristiani pregassero in momenti separati, in edifici separati e in alcuni casi ha portato le comunità cristiane a dividersi.

Tristemente, non è cambiato molto dai tempi della dichiarazione di Martin Luther King Jr. Le 11.00 di mattina – come simbolo del momento più comune per il culto domenicale – spesso non manifesta l’unità dei cristiani, ma piuttosto la loro divisione, su direttrici razziali e sociali, oltre che confessionali. Come proclamava Isaia, questa ipocrisia tra gli uomini di fede è un’offesa davanti a Dio: “Anche se fate preghiere che durano a lungo io non le ascolto, perché le vostre mani sono piene di sangue” (Is 1, 15).


Imparate a fare il bene

Nella pericope biblica scelta quale tema per la Settimana di preghiera per l’unità, il profeta Isaia ci mostra come curare questi mali.

Imparare a fare il bene richiede la decisione di impegnarsi in un esame di coscienza. La Settimana di preghiera è il momento più adatto perché i cristiani riconoscano che le divisioni tra le chiese e le confessioni non sono poi tanto diverse dalle divisioni all’interno della più ampia famiglia umana. Pregare insieme per l’unità dei cristiani ci permette di riflettere su ciò che ci unisce e di impegnarci a combattere l’oppressione e la divisione della famiglia umana.

Il profeta Michea sottolinea che Dio ci ha detto ciò che è bene e che cosa vuole da noi: “Praticare la giustizia, ricercare la bontà e vivere con umiltà davanti al nostro Dio” (Mic 6, 8). Agire con giustizia significa avere rispetto per tutte le persone. La giustizia richiede un trattamento veramente equo per superare le condizioni sfavorevoli, sviluppatesi nella storia, a motivo della “razza”, del genere, della religione e del livello socio-economico. Vivere con umiltà davanti a Dio richiede pentimento, ammenda e infine riconciliazione. Dio si aspetta da noi che, uniti, condividiamo la responsabilità per l’uguaglianza tra tutti i suoi figli e le sue figlie. L’unità dei cristiani dovrebbe essere segno e pegno dell’unità riconciliata dell’intera creazione. Al contrario, la divisione tra cristiani indebolisce la forza di quel segno, e finisce per acuire la divisione piuttosto che portare guarigione alle ferite e alla vulnerabilità del mondo che è, invece, la missione della Chiesa.


Cercate la giustizia

L’invito di Isaia rivolto a Giuda a ricercare la giustizia (cfr Is 1, 17) implica il riconoscimento dell’ingiustizia e dell’oppressione che segnavano la loro società. Egli implora il popolo di Giuda di rovesciare questo status quo. Ricercare la giustizia richiede di affrontare coloro che infliggono il male agli altri: non è un compito facile e a volte porterà al conflitto, ma Gesù ci assicura che difendere la giustizia di fronte all’oppressione è la strada per il Regno dei cieli: “Beati quelli che sono perseguitati perché fanno la volontà di Dio: Dio dona loro il suo regno” (Mt 5, 10). In molte parti del mondo le chiese devono ammettere che si sono conformate alle norme sociali e sono rimaste in silenzio, a volte addirittura complici dell’ingiustizia razziale. Il pregiudizio razziale è stato una delle cause di divisioni tra i cristiani che ha lacerato il Corpo di Cristo. Nel corso dei secoli, ideologie nocive, come quella della supremazia bianca e la “dottrina della scoperta”[2] , hanno significato un grave danno, particolarmente nell’America del Nord, e nelle terre colonizzate dalle potenze europee dei bianchi per secoli. Come cristiani dobbiamo essere disposti a porre fine ai sistemi di oppressione e a difendere la giustizia.

Proprio mentre il Gruppo locale del Minnesota preparava il testo del presente sussidio, abbiamo assistito a devastazioni e varie forme di oppressione in tutto il mondo. In molte regioni, soprattutto nel Sud del mondo, questa sofferenza è stata notevolmente amplificata dalla pandemia di Covid-19, a causa della quale è stato spesso impossibile garantire anche la semplice sussistenza di base per molti, e durante la quale forme concrete di assistenza sono drammaticamente mancate. L’autore del Qoelet sembra parlare dell’esperienza attuale: “Ho riflettuto anche su tutte le ingiustizie che si compiono in questo mondo. Gli oppressi piangono e invocano aiuto, ma nessuno li consola, nessuno li libera dalla violenza dei loro oppressori” (Qo 4, 1).

L’oppressione è nefasta per l’intera razza umana; non ci può essere unità senza giustizia. Mentre preghiamo per l’unità dei cristiani, dobbiamo riconoscere l’oppressione, sia attuale che generazionale, ed essere risoluti nel nostro impegno a pentirci di questo peccato. Possiamo far nostra l’intimazione di Isaia: “Lavatevi, purificatevi” perché “le vostre mani sono piene di sangue” (Is 1, 16.15).


Aiutate gli oppressi

La Bibbia ci dice che non possiamo separare il nostro rapporto con Cristo dal nostro atteggiamento verso tutto il popolo di Dio, in particolare verso quelli considerati “più piccoli” (Mt 25, 40). Il nostro impegno reciproco ci richiede di coinvolgerci nella Mishpat, termine ebraico che indica la giustizia riparativa, sostenendo coloro le cui voci non sono state ascoltate, smantellando le strutture che creano e sostengono l’ingiustizia e costruendone altre che promuovano e assicurino che tutti ricevano un trattamento equo e siano rispettati nei diritti a loro dovuti. Questo impegno deve estendersi oltre gli amici, la famiglia e la comunità di appartenenza, e raggiungere ogni essere umano. I cristiani sono chiamati ad uscire e ascoltare le grida di tutti coloro che soffrono, per comprenderli meglio e rispondere alle loro storie di sofferenza e ai loro traumi. Martin Luther King Jr. ha spesso affermato che “una rivolta è, in fondo, il linguaggio di chi non viene ascoltato”; quando sorgono proteste e disordini civili, è spesso perché le voci dei manifestanti non sono state ascoltate. Se le chiese uniscono le loro voci a quelle degli oppressi, il loro grido di giustizia e di liberazione sarà amplificato. Quando ci amiamo e ci prestiamo aiuto gli uni gli altri, serviamo e amiamo Dio e il nostro prossimo.


Proteggete gli orfani e difendete le vedove

Vedove e orfani occupano un posto speciale nella Bibbia ebraica, accanto agli stranieri, in quanto rappresentativi dei soggetti più vulnerabili della società. Nella situazione di prosperità economica del regno di Giuda al tempo di Isaia, la condizione degli orfani e delle vedove era disperata, in quanto erano privati di ogni protezione e del diritto di possedere la terra, che significava la possibilità di provvedere a se stessi. Il profeta, rallegrandosi della prosperità della comunità, invita a non trascurare di difendere e nutrire i più poveri e vulnerabili tra loro. Questa chiamata profetica riecheggia anche oggi e ci spinge a chiederci: chi sono le persone più vulnerabili nella nostra società? Quali sono le voci che non vengono ascoltate nelle nostre comunità? Chi non è rappresentato nei nostri incontri? Perché? Quali chiese e comunità mancano nei nostri dialoghi, nella nostra azione comune e nella nostra preghiera per l’unità dei cristiani? Mentre siamo radunati insieme in preghiera in questa Settimana per l’unità, che cosa siamo disposti a fare in favore di chi non ha voce?



Conclusione

Isaia, ai suoi tempi, sfidò il popolo di Dio a imparare a fare il bene insieme; a cercare insieme la giustizia, ad aiutare insieme gli oppressi, a proteggere gli orfani e difendere le vedove insieme. La sfida del profeta si applica anche a noi oggi: come possiamo vivere la nostra unità di cristiani per affrontare i mali e le ingiustizie del nostro tempo? Come possiamo impegnarci nel dialogo e crescere nella reciproca consapevolezza, comprensione e condivisione delle esperienze vissute?

La nostra preghiera e il nostro incontrarci con il cuore hanno il potere di trasformarci, come individui e come comunità. Apriamoci alla presenza di Dio in ogni nostro incontro, mentre chiediamo la grazia di essere trasformati, di smantellare i sistemi di oppressione e di guarire dal peccato del razzismo. Insieme, impegniamoci nella lotta per la giustizia nella nostra società. Tutti noi apparteniamo a Cristo.


[1] C’è una sola razza, la razza umana. Tuttavia, dobbiamo riconoscere che il mito della razza ha determinato la nascita del razzismo. La razza non è biologica, è un costrutto sociale che divide l’umanità secondo caratteristiche fisiche. È importante riconoscere che, sebbene il termine non venga utilizzato in alcune parti del mondo, è stato ciò nonostante un efficace strumento di divisione e di oppressione di gruppi di esseri umani.


[2] La “Dottrina della Scoperta”, viene fatta risalire alla Bolla Papale emanata da Papa Alessandro VI (4 maggio 1493), che penetrò in tutto il mondo a beneficio delle chiese, in ogni aspetto che riguardava i rapporti con i discendenti degli indigeni e degli schiavi; essa giustificava la conquista delle terre dei popoli indigeni, adducendo come motivo il fatto che le potenze colonizzatrici avevano “scoperto” quelle terre.


Tratto dal sussidio (con testi validi per tutto l'anno) a cura del Centro Pro Unione

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