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Il passaggio

La lettura degli atti degli apostoli che ci sta facendo compagnia in questi giorni del tempo di Pasqua ora più che mai mi suggerisce una chiave di lettura per comprendere meglio il testo ma anche la mia storia e quella della Chiesa: il passaggio.


Lo Spirito guida quel gruppo di uomini e di donne attraverso differenti passaggi:

dal buio di un cenacolo chiuso per paura di pagare con la vita la sequela al Crocifisso alle strade di Gerusalemme e alla piazza del Tempio per predicare la certa Speranza della Risurrezione.

In quei primi tempi gli apostoli intuirono che il futuro della Chiesa sarebbe dovuto passare dalla valorizzazione della diversità dei carismi e proprio per questo loro si dedicano a quanto più loro appartiene, la preghiera e la predicazione della Parola e per il servizio ai poveri nasce il gruppo dei diaconi fra cui Stefano.

Dai confini della casa di Israele, da un annuncio rivolto ai giudei quella comunità non teme di progettare viaggi verso le città sule sponde del Mediterranei o nell’entroterra del mondo conosciuto fino a Roma; anche i pagani, per intuizione di Pietro e per il grande lavoro di Barnaba e Paolo sono ritenuti capaci di ascoltare il Vangelo e di accedere alla salvezza al costo di rendere quella fede giudaica in Gesù Cristo una nuova religione, il cristianesimo appunto, la fede dei discepoli che furono chiamati per la prima volta cristiani ad Antiochia.

Ma il libro degli Atti descrive anche i passaggi interiori dei protagonisti: di Pietro che, dal tradimento consumato in quella notte di sangue a Gerusalemme, diventa capace di sopportare la persecuzione e la prigione e poi di Paolo che, da persecutore, diventa testimone della Risurrezione che trasfigura fin nelle midolla la sua umanità e, come loro, tanti altri.

Passaggio, passare sono termini contenuti nella Parola ebraica pesah, Pasqua.

Chi celebra la Pasqua e fa memoria della liberazione e chi si immerge nel mistero del Crocifisso Risorto necessariamente si deve rendere disponibile ad un passaggio.

La vita non ci risparmia di affacciarci ad orizzonti promettenti che esigono autenticità: ciò che ci manca a volte è il coraggio di lasciarci disturbare e poi di osare muovere un passo in quella direzione.

E anche la Chiesa è chiamata a nuovi approdi, sempre precari, che la spingono un po’ più in là, in un oltre che la avvicina di stagione in stagione a quella Città di Dio che è libera e che è nostra madre (Gal 4, 26).

Ad esempio avverto che lo Spirito ci sta obbligando a lasciare i recinti sicuri per addentrarci in una missione capillare, casa per casa, strada per strada: è finito il tempo in cui la convocazione esauriva le proposte. Ora è più chiaro il mood con cui Papa Francesco si è presentato dall’inizio del suo Pontificato chiedendoci di diventare Chiese sulle strade.

Oggi siamo chiamati a rischiare e ad annunciare il Vangelo scommettendo sugli incontri nel quotidiano, rendendoci presenza discreta negli ambienti di lavoro che riprendono a vivere, nelle case dove sono rintanati giovani spaventati o dove consumano i loro giorni i malati, e poi sulle strade sempre più piene di ragazzi e di famiglie che i nostri ambienti in questi mesi non hanno potuto accogliere.

E poi ci sono sfide ancora più alte che vanno oltre l’urgenza di questa pandemia: il dialogo con le altre religioni, la battaglia per affermare la dignità degli ultimi, la capacità di accompagnare l’uomo e le sue domande annunciando il Vangelo che salva.

Noi comunità di Gratosoglio saremo pronti a quali di questi passaggi?


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