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I "grazie" di don Giovanni


Pubblichiamo il testo dell'omelia di domenica 12 giugno, con la quale don Giovanni ha salutato le nostre parrocchie.


In occasioni come queste si avverte più che mai la tentazione di piegare la Parola a quello che tu desideri dire.

Ma, come insegnava il Cardinale Martini, siamo noi che ci dobbiamo piegare a quanto la Parola giorno dopo giorno ha da dirci.


Oggi è la festa della SS. Trinità.

Durante il Credo, ad ogni domenica, noi affermiamo all’inizio: “Credo in un solo Dio” , e poi, a seguire, la declinazione che descrive chi è il Padre, il Figlio e lo Spirito: a noi tuttavia resta il rompicapo di credere che quell’unicità si esprima in Tre Persone sussistenti, arrivando al limite di opporre fede e ragione! E comunque, alla fine, sembra, di non portare a casa nessun guadagno!

Come se addirittura la Rivelazione non fosse comprensibile anche alle persone più semplici o, peggio ancora, come se Dio, su se stesso, abbia voluto dirci qualcosa di inaccessibile.

Con tanta umiltà, mi sono chiesto quanto cambierebbe la prospettiva se usassimo le parole del Vangelo. “Dio è amore”, dice Giovanni nella sua lettera…e allora come potrebbe mai essere da solo?

Io credo in Dio che è Amore… fra il Padre e il Figlio e l’abbraccio fra loro due è lo Spirito. Lo stesso Spirito che ci prende per mano e ci conduce a casa Trinità per farci sentire che anche noi siamo amati e preziosi ai suoi occhi.

Io credo in Dio che è Amore…l’Amore spinge a fare di due o più una cosa sola pur non facendo smarrire l’identità di ognuno. Parafrasando don Tonino Bello - oggi ve li cito tutti! - , per spiegare Dio non si deve dire “uno più uno più uno”, ma cambiare l’operazione matematica. “Uno per uno per uno” che fa sempre uno! E quel per, che significa essere per l’altro, farsi servo, è un marchio di fabbrica della Trinità tanto che Gesù ne ha fatto uno stile di vita fino alla fine, lui servo dell’uomo.

E su questo già potremmo insieme raccogliere una sfida: una comunità che prega un Dio così non può dividersi. Certamente non si può svilire l’identità in nome di un’unità che diventa uniformità; ma non si può opporre il proprio carisma e infrangere la comunione.

È quello che per esempio dovrebbero raccontare le nostre due comunità al quartiere, attraversato da invisibili muri di separazione sociali, culturali ed economici: sarà la sfida di San Barnaba di non perdere la propria tradizione e a renderla generativa; sarà la sfida di Maria Madre di non perdere la propria prospettiva sulla complessità del mondo ma infine bisognerà unire queste due identità facendone un’armonia perché solo insieme si va più lontano, perché solo in comunione San Barnaba e Maria madre renderanno credibile a

Gratosoglio quel Dio che è in sé Comunione!


Vorrei però soffermarmi adesso su altre suggestioni che attingo soprattutto dalla prima lettura.

Amo la storia di Abramo perché è la storia di tutti quanti noi, con il suo cammino fatto di luci e di ombre, di grandi slanci di fede e di cadute abissali ma sempre accompagnato per mano da quel Dio che gli si è rivelato in una notte sotto ad un cielo stellato.

E poco prima di questa scena raccontata nella prima lettura, Abramo aveva dovuto separarsi da suo nipote Lot, anche lui ricco in bestiame. Si erano collocati su un'altura e, nonostante a lui spettasse il diritto di scegliere in che direzione andare, lasciò a suo nipote, più giovane, la decisione. Lot scelse la terra di Sodoma e Gomorra che, Genesi, definisce simile al Giardino di Eden tanto era ricca e bella. E ad Abramo non restò che direzionarsi verso Canaan, sicuramente.

Per me quella terra maledetta e benedetta assieme è stata la periferia, dove sono nato, dove ho trascorso gli anni della mia prima esperienza da prete, questi anni che mi hanno reso uomo e in cui vivrò anche la prossima missione e in cui desidero morire, spero povero fra i poveri.

Da questa prospettiva è più facile scorgere Dio e accoglierlo e lasciarsi accogliere da lui. Spesso ho detto ai miei giovani che la presenza reale di Gesù sta nella Parola, nell’Eucaristia, nella Chiesa ma anche fra le pagine di quel Vangelo vivente scritto sulla pelle dei più poveri e dei più soli.



E, a proposito di accoglienza, posso dire con certezza che io vi ho accolto subito nel mio cuore. Non ho esitato nemmeno un istante, fosse anche per lenire il dolore della separazione dalla mia prima comunità.

Ma di più sono stato accolto.

Quando venni fra voi pregavo Dio di non lasciarmi solo.

E così è stato:

grazie ai miei ragazzi, a quelli dell’ultima ora e a quelli con cui sono cresciuto e che ora sono uomini e donne;

a sr. Agnese madre, maestra, amica, compagna inseparabile di viaggio;

alle famiglie: mi sia permesso di ricordare fra tutte quella di Matteo, dimostrazione vivente del mistero della Comunione dei Santi e che lo Spirito soffia in modo creativo;

ai malati;

ai colleghi di scuola, con cui abbiamo provato a sognare i nostri ragazzi;

ai responsabili delle Istituzioni che ho sempre sentito attenti e alleati.

Perdono chi non mi ha accolto e mi ha fatto soffrire; chiedo perdono a chi ha pensato, per limiti miei, incomprensioni o tratti caratteriali, che nel mio cuore non avrebbe trovato posto e si è allontanato.

Ma mi sia permesso un grazie speciale anche a tutti quelli che con me, hanno accolto Almedin e lo hanno circondato di premure e di amore. Anche a lui il mio grazie perché verrà con me, perché mi ha insegnato l’accoglienza giorno dopo giorno, perché rappresenta quel terebinto che Abramo aveva voluto piantare come segno della terra promessa.


E, infine, ancora mi permetto di dare un’ultima consegna soprattutto ai miei giovani. Se Dio è in sé e per noi Mistero d’amore, allora credete nella Rivoluzione! Non credete a chi tenta di convincervi, per giustificare la sua inerzia, che Vangelo e Spiritualità non c’entrano con la lotta sociale per un mondo migliore! Solo l’Amore è credibile.

In una poesia Danilo Dolci afferma: “rivoluzione è curare il curabile/profondamente e presto/è rendere ciascuno responsabile”.

Prendetevi cura delle seconde e terze generazioni di questo quartiere, fatele crescere nella cultura e nell’integrazione.

Non accettate mai la miseria di nessuno perché offende la dignità con cui Dio ci ha creati. Abbiate il coraggio di mettere mano a questo quartiere denunciando chi guida la nostra città e gli fa male con la sua miopia e stupidità più che per intenzione colpevole, ma soprattutto piantate semi di bene a partire dai nostri oratori, cortili spalancati e reale alternativa alla strada, accogliendo tutti i ragazzi e non facendoli mai sentire soli perché nelle loro mani è il nostro futuro e quello di questa Chiesa. meno appariscente, più deserta e insidiosa.

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