Famiglie ospitanti del Campus della Pace, oltre ogni barriera

Uno dei modi con cui abbiamo deciso di rielaborare l’esperienza del Campus, come suggeriva don Giovanni, è intervistare due delle famiglie che hanno ospitato altrettanti giovani partecipanti. Simone Morbio e Chiara De Francesco, parrocchiani di Santa Bernardetta (Comunità Pastorale San Giovanni XXIII, alla Barona) e Adele Bellati, di San Barnaba, ci raccontano quindi le loro esperienze e cosa hanno ricavato dall’accoglienza di due ragazzi.
La VII edizione del Campus della Pace ha visto come protagoniste anche le famiglie che hanno ospitato i ragazzi venuti da fuori parrocchia. Voi, precisamente, chi avete accolto?
CHIARA: Noi abbiamo accolto Aida, una ragazza di Zenica, vicino a Sarajevo, che beneficia di una borsa di studio da parte dell’associazione del generale Divjiak.
ADELE: Il ragazzo che è venuto da noi si chiamava Elias, veniva da Parigi e aveva quindici anni. Per lui è stata fatta un’eccezione, perché suo fratello era iscritto e lui teneva davvero tanto a partecipare, benché fosse minorenne.
Li ospitavate solo per la colazione, giusto?
SIMONE: Per la colazione e in alcune sere anche per la cena.
ADELE: Le prime due sere ha mangiato con noi, oltre alla colazione e a dormire. L’ultima sera, sabato, noi avevamo una cena con amici, una grigliata all’aperto: ha deciso di venire con noi.
CHIARA: Nella giornata di domenica, che avevano libera, abbiamo fatto una gita insieme.
Dove di preciso?
SIMONE: A Baveno e alle Isole Borromee.
ADELE: Noi abbiamo semplicemente cercato di farlo sentire parte della famiglia, per trasmettergli la vita nel quotidiano di una famiglia italiana. Banalmente, una delle due sere ho preparato tutto per insegnare a lui a cucinare, insieme all’altro mio figlio, le cotolette alla milanese.

Nei giorni del Campus, i vostri ospiti vi raccontavano le esperienze che avevano vissuto?
CHIARA: Non andava nel dettaglio delle singole conferenze o dei singoli laboratori, però capitava che io a cena le facessi qualche domanda e allora raccontava. Era molto partecipe e condivideva molto, anche in casa.
ADELE: Avevamo dei grossi problemi di lingua: lui parlava solamente francese, mentre io non lo parlo e mia figlia lo parla poco, quindi facevamo un po’ fatica ad affrontare argomenti di un certo livello.
Cosa li ha colpiti di più, secondo le loro parole?
CHIARA: Sicuramente, il fatto di trovarsi non solo in una città straniera, ma anche con ragazzi italiani, francesi, quindi la multiculturalità che caratterizza il Campus le è piaciuta molto. Si focalizzava anche sui laboratori teatrali che hanno fatto a gruppetti.
ADELE: Una sera, tornato dallo spettacolo teatrale di mercoledì, mi ha detto che l’aveva trovato molto commovente. Era contento delle attività.
Voi invece avete partecipato a qualcuna delle conferenze aperte al pubblico oppure no?
CHIARA: Come famiglia, insieme ai nostri bambini, abbiamo partecipato alla cena comune di chiusura. Io invece sono riuscita a venire allo spettacolo Concertina22 e la sera successiva, alla testimonianza di Vincenzo Linarello del Gruppo Goel e di Cesare Moreno dei Maestri di Strada.
ADELE: Siamo stati molto contenti di averlo ospitato. Il problema della lingua all’inizio ci ha spaventati molto, e comunque ci rendevamo conto che era una grossa barriera per entrare in comunicazione con lui. Invece ci siamo resi conto, col passare dei giorni, che era solo una parte della comunicazione che mettevamo in atto e che ci permetteva di capire Elias, ma che permetteva anche a lui di capirci.
Cosa pensate di raccontare, se qualcuno vi chiedesse della vostra esperienza, di quello che voi avete vissuto del Campus?
CHIARA: Quello che ho raccontato ai miei colleghi in ufficio è che, dopo due anni di Covid e di sospensione, è stato un ritorno alla vita poter partecipare a esperienze comunitarie con uno spirito e una dimensione più globale, che nel passato della mia vita mi hanno sempre nutrito. Di fronte a questi inviti, per me è difficile dire di no: rappresentano un’occasione di vivere la semplicità del quotidiano così come dovrebbe essere, dove si aprono le porte di casa, si condividono momenti. Il mondo ha bisogno di eventi come il Campus della Pace e di persone illuminate come quelle che lo organizzano.
SIMONE: A me sembrava di tornare a quando ero più giovane, alle attività fatte in oratorio, in particolare con don Giovanni. È stata una bella occasione di condivisione.
ADELE: Io invece racconterei un gesto che ha compiuto l’ultimo giorno, molto carico di significato nella sua semplicità. Quando è arrivato qua, gli ho consegnato un paio di ciabatte, dicendogli che poteva tranquillamente usarle per casa. La mattina che è ripartito, mentre si accingeva a uscire, le ha riconsegnate con una faccia molto sconsolata. Quel gesto e la sua espressione dispiaciuta mi hanno fatto capire quanto lui si fosse sentito a casa qui. Mi sono accorta che effettivamente non era così indispensabile parlare per attivare una relazione e trasmettere un sentimento: avevo avuto il timore che lui non si fosse trovato a suo agio, quando invece è avvenuto il contrario.
